Di seguito è riportato un recente articolo, uscito su una rivista americana, che mi ha molto colpito perché in qualche modo va ad intaccare le certezze collegate ai benefici della reintroduzione "non controllata" di specie predatorie in parchi destinati alla salvaguardia di flora e fauna.
Una ricerca importante: paura e riproduzione nella fauna selvatica
Lo studio ha messo in luce che il semplice fatto di far ascoltare costantemente e periodicamente il canto di uccelli predatori a passeri ed altri uccelli canori riduce il numero e la percentuale di sopravvivenza della prole di questi ultimi, a prescindere dalla reale esistenza della vera minaccia.
Inoltre supporta, in maniera indiretta, la filosofia che sta alla base dell'agricoltura sinergica, in cui il modello naturale per un certo habitat proviene in primo luogo, dall'osservazione della natura stessa, piuttosto che predeterminato in maniera superficiale a tavolino.
Una ricerca importante: paura e riproduzione nella fauna selvatica
Si potrebbe riferire l'espressione "non abbiamo nulla da temere, se non la paura stessa" anche al caso di un recente esperimento eseguito su passeriformi ed uccelli canori.
Lo studio ha messo in luce che il semplice fatto di far ascoltare costantemente e periodicamente il canto di uccelli predatori a passeri ed altri uccelli canori riduce il numero e la percentuale di sopravvivenza della prole di questi ultimi, a prescindere dalla reale esistenza della vera minaccia.
Questa scoperta potrebbe avere importanti implicazioni nella gestione della fauna selvatica, non solo per la protezione uccelli canori, ma per una miriade di altre specie.
L'ecologista Liana Zanette della University of Western Ontario London, Canada ed i suoi colleghi hanno studiato il canto dei passeri canzone (Melospiza melodia) su molte delle piccole isole del Golfo in British Columbia (Canada). Le aree di nidificazione sono state circondate con reti elettriche per tenere lontano i predatori, sono stati installati altoparlanti per la trsmissione del suoni di altri animali. In alcune aree sono state emessi i suoni dei predatori, come procioni, falchi e gufi. In altre aree si sono trasmesse i suonidi animali non predatori come foche, oche, e colibrì.
Durante i 130 giorni di stagione di nidificazione dei passeri, gli altoparlanti hanno trasmesso l'audio impostato per pochi minuti, 24 ore al giorn, su un ciclo di "4 giorni on" e "4 giorni off".
Le femmine degli uccelli esposti ai suoni dei predatori hanno mostrato drastici cambiamenti nel comportamento. Hanno costruito nidi nelle zone più fitte e spinose, hanno trascorso più tempo a sorvegliare la zona dai predatori e meno tempo per raccogliere cibo. Hanno prodotto un minor numero di uova, probabilmente collegato al più basso consumo di cibo.Durante la schiusa delle uova, le madri hanno fornito meno cibo per i piccoli abbassando la media di 8 viaggi in un'ora per i pasti rispetto allo standard che è di 11 viaggi in un'ora, allontanandosi meno dal nido. Il risultato è che meno piccoli sono sopravvissuti, rispetto alle femmine, sottoposte a suoni di animali non predatori, con una fattore del 40% in meno di piccoli.
La scoperta ha implicazioni IMPORTANTI per la conservazione di tutte le speci selvatiche, dice l'ecologista e coautore dello studio Michael Clinchy della University of Victoria in Canada.
Per esempio, i programmi per il controllo delle popolazioni del gatto selvatico, che in alcune città operano sotto l'ipotesi che se i gatti selvatici sono ben nutriti da custodi che forniscono cibo nei parchi cittadini, questo non danneggerà la fauna selvatica, come gli uccelli.
Clinchy afferma "I nostri risultati mostrano che la semplice presenza di questo predatore, introdotto artificialmente, è sufficiente a incidere negativamente sulla fauna selvatica". Questo è particolarmente preoccupante perché molti programmi per il recepero del gatto selvatico avvengono proprio nei parchi destinati alla conservazione della fauna selvatica.
Con questa nuova scoperta, Clinchy potrebbe anche contribuire a chiarire un lungo dibattito circa l'efficacia di reintrodurre i lupi nel parco nazionale di Yellowstone.
Con questa nuova scoperta, Clinchy potrebbe anche contribuire a chiarire un lungo dibattito circa l'efficacia di reintrodurre i lupi nel parco nazionale di Yellowstone.
Una iniziativa che ha avuto inizio nel 1995 nel tentativo di ripristinare la flora e la fauna di Yellowstone .
I sostenitori della reintroduzione del lupo dicono che i lupi un tempo prosperavano a Yellowstone ma si estinsero nel 1920. I lupi permettono il controllo della popolazione delle alci, che a loro volta, consentono alle piante autoctone ed ai piccoli animali di potersi sviluppare.
Ma ci sono anche voci critiche che dicono che il calo della popolazione delle alci dal 1995 ad oggi, ha subito un declino del 50%. Un dato troppo elevato, che non può essere dovuto al lupo perché non uccidono e consumano un numero così alto di alci all'anno.
Clinchy afferma: "I nostri risultati dimostrano che è la sola presenza dei lupi a far diminuire la popolazione delle alci, in maniera così forte. "I lupi non uccidono così tante alci, ma le spaventano molto"
Clinchy afferma: "I nostri risultati dimostrano che è la sola presenza dei lupi a far diminuire la popolazione delle alci, in maniera così forte. "I lupi non uccidono così tante alci, ma le spaventano molto"
Il comportamento delle alci spaventate, sono simili ai comportamenti dei passeri esposti ai suoni dei predatori che spendono tempo per trovare luoghi più sicuri ma anche a consumare meno cibo, con conseguente diminuzione della prole.
Thomas Martin dell'Università del Montana, Missoula, è un ecologista, non coinvolto nello studi. Martin afferma che questo effetto della paura, che i predatori sviluppano sulla popolazione delle prede e quindi sulla quantità di prole, non era mai stato quantificato in precedenza. Ora è necessario lavorare su questo fronte di indagini perchè i risultati possano essere applicati alle singole specie, oltre che agli uccelli ed ai passeri, analizzando differenze e singoli habitat.
interessante ma qualcosa non mi è chiara.
RispondiEliminaWhat d'you mean ? :-)
RispondiEliminaChe dato curioso!
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